Allora, ci sono pianisti che si abituano fin da subito a suonare direttamente a mani unite, e finiscono con lo sviluppare molto bene questa abilità, divenendo, però, incapaci di studiare a mani separate e soprattutto di memorizzare (tendendo a sfruttare molto l'abilità di suonare leggendo); viceversa, altri preferiscono risolvere tutti i problemi tecnici a mani separate, portare a velocità, memorizzare il pezzo e poi unire le mani: questo metodo SEMBRA più sconveniente all'inizio, quando i brani sono facili, ma in realtà è fondamentale per raggiungere risultati decenti al pianoforte (credo che già le invenzioni a 2 voci di Bach siano immensamente più semplici memorizzando prima a mani separate). Ovviamente ci sono state delle eccezioni, come, se non ricordo male, Carlo Vidusso, che eseguiva qualsiasi brano, anche quelli più difficili, direttamente a mani unite, ma lui aveva iniziato a suonare a 4-5 anni! Lo studio a mani separate è conveniente, non è vero che si perde più tempo, è solo un'illusione. Una buona soluzione di compromesso sarebbe naturalmente uno studio "ibrido", evitando di concentrarsi troppo sulle sezioni facili. Il criterio di scelta deve essere sempre lo stesso: ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Sta al buon senso del pianista capire quale metodo usare, considerando, però, gli insegnamenti dei musicisti passati (Bach doveva essere un fermo sostenitore della memorizzazione a mani separate, se si analizzano le sue invenzioni a 2 voci, come ho già detto) e dei grandi maestri odierni.