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« il: Agosto 24, 2017, 12:07:28 am »
Condivido una mia lunga e dettagliata risposta, postata da me oggi su Facebook, ai problemi relativi alla memorizzazione, che non si vuole porre come verità assoluta, ma che tuttavia è in grado di spiegare in base a quali principi qualunque metodo di memorizzazione può essere efficace o meno, quali sono le maggiori cause dei vuoti di memoria, qual è un metodo efficiente per ridurli al minimo, e altro.
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Cerco di spiegare, nella maniera più sintetica che mi riesce (ma tanto so che sarà lungo comunque), la mia visione sull'argomento della memorizzazione di un brano.
Le vie tradizionali che si seguono per memorizzare sono 2, completamente opposte:
1. La memorizzazione che mi piace definire "per osmosi", che avviene in maniera automatica, a forza di ripetere, mentre si studia il brano a livello tecnico e musicale. Una memorizzazione, quindi, che avviene direttamente al pianoforte.
2. La memorizzazione "analitica", che avviene analizzando il brano a livello armonico e strutturale, e memorizzandolo come se fosse una poesia, e può avvenire anche lontano dal pianoforte.
Tuttavia, entrambe le vie tradizionali si rivelano fallaci.
La prima perché esclude qualunque lavoro conscio di memorizzazione da parte del pianista, per cui, se per caso avesse un vuoto di memoria, si potrebbero avere serie difficoltà a riprendere. Inoltre, con questo metodo può essere complesso memorizzare passaggi lenti. Infine, la memoria dei passaggi più semplici, che verranno per ovvie ragioni ripetuti di meno, sarà più fragile. L’unico vantaggio che ha questa prima via, rispetto alla seconda, è che la memorizzazione avviene senza il minimo sforzo.
La seconda, al contrario, senza il supporto del pianoforte, è un metodo di memorizzazione che richiede un grandissimo lavoro da parte del cervello, per cui si rivela, seppur teoricamente possibile, troppo inefficiente, anche se il pezzo si memorizza in maniera qualitativamente migliore. Nel caso di un vuoto di memoria, si potrebbe essere in grado di riprendere un brano dal successivo punto importante memorizzato, ma ci potrebbero comunque essere successivi vuoti di memoria. Inoltre, nel caso di brani, ad esempio di musica contemporanea, in cui non è possibile fare un’analisi a livello armonico e strutturale, questo metodo mostra maggiormente la propria debolezza. Questo metodo, in realtà, è buono solo per memorizzare parti di contorno o di accompagnamento, e un brano intero non lo è.
Descrivo quindi la soluzione che propongo.
Ci sono 5 componenti della memorizzazione che devono essere soddisfatte tutte, per avere una memorizzazione sicura al massimo possibile:
1. La parte visiva;
2. La parte cinetica;
3. La parte uditiva;
4. La parte concettuale;
5. La parte tecnica.
Partiamo dalle prime tre, e usiamo come esempio la memorizzazione di una poesia: la parte visiva si soddisfa nel momento in cui si guarda il testo, in maniera concentrata, avendo l’intenzione di memorizzare. Altrimenti, si potrebbe leggere il testo molte volte senza mai memorizzarlo. Per memorizzare la poesia, la si legge molte volte ad alta voce, in modo da allenare la bocca a dirla senza bloccarsi: questa è la parte cinetica. Allo stesso tempo, mentre si legge, l’orecchio ascolta tante volte la stessa cosa, ed entra spesso in gioco la parte uditiva in maniera automatica.
È da queste tre componenti che la memorizzazione di un brano al pianoforte deve partire: frase per frase, con la parte visiva, la parte cinetica e la parte uditiva.
Al pianoforte abbiamo due tipi di visualizzazione: la visualizzazione di una frase musicale sullo spartito, quindi la memorizzazione visiva del foglio da cui si è memorizzato lo spartito, e la visualizzazione della stessa frase musicale alla tastiera, quindi la memorizzazione della visualizzazione spaziale delle relazioni fra le note alla tastiera.
A livello pratico, questo è quello che bisogna fare per memorizzare un brano: innanzitutto, nei primi giorni, si deve leggere il brano, in modo tale da farsi un’idea generale del brano (potrebbero bastare anche alcune ore, o alcuni minuti, dipende dalla lunghezza e dalla difficoltà soggettiva del brano in questione). Fatto ciò, bisognerà cominciare il processo conscio di memorizzazione il prima possibile, prima che l’aspetto cinetico prenda il sopravvento, altrimenti non sarà facile capire se il brano è effettivamente memorizzato, oppure è stato memorizzato “per osmosi”. L’aspetto cinetico ci deve essere, ed è molto importante, ma non è sufficiente da solo. Per cui, si dovrà consciamente memorizzare, frase per frase, il brano: si suona la frase che si vuole memorizzare, guardando lo spartito con l’intenzione di memorizzarlo visivamente, e si ripete finché si è sicuri di averla memorizzata. Se la frase è troppo lunga, naturalmente, la si potrà dividere in gruppi più piccoli. Nel momento in cui la si è memorizzata in questo modo, si rimuove lo spartito da davanti, e si prova a suonare la frase di nuovo, ripetendo varie volte, questa volta memorizzando l’aspetto della frase che ha al pianoforte. Dopo avere ripetuto un po’ di volte, si può provare a verificare la memorizzazione suonandola un’altra volta senza lo spartito davanti. Se si ha l’impressione che la memoria non sia sicura, si riprende lo spartito e si ricomincia il processo da capo. Altrimenti, si va alla frase successiva.
È importante osservare che è necessario che le frasi musicali da memorizzare siano molto piccole, in quanto il cervello è in grado di memorizzare e processare solo poche informazioni alla volta. Se dall’inizio, si memorizzano varie frasi, ma non le si ripetono, si potrebbe avere difficoltà perfino a ricordare come il pezzo comincia. Per cui, frase per frase, si dovrà memorizzare anche le frasi unite, sempre con e senza lo spartito, e pezzo per pezzo il brano verrà memorizzato, senza avere fretta.
All’inizio questo processo potrebbe sembrare lento e faticoso, infatti all’inizio, indubbiamente, lo è. Tuttavia questo processo di memorizzazione, nel momento in cui diventa un’abitudine, è molto veloce, e diventa un altro modo di leggere lo spartito: la memorizzazione avviene mentre lo si legge. Inoltre, la sicurezza della memoria, acquisita con questo sistema, compensa la fatica iniziale. Nel caso di brani di musica contemporanea, in cui non è possibile un’analisi armonica, può essere utile dare un po’ più priorità alla memoria visiva alla tastiera.
Una volta memorizzato il brano, o una lunga sezione del brano, bisognerebbe spesso risuonarlo con lo spartito davanti, concentrandosi come se si fosse appena cominciato lo studio del brano. L’alternanza tra il suonare il brano a memoria, e suonarlo leggendolo attentamente dallo spartito, rinforza tutte e tre le parti della memoria finora analizzate. Se, una volta memorizzato il brano, si suonerà più volte affidandosi alla memoria, la parte cinetica prenderà il sopravvento, e potrebbero tornare dubbi. Questo si nota facilmente con i bambini, o con i pianisti con una velocità di lettura piuttosto lenta: imparano un brano, lo memorizzano in maniera quasi istantanea, non guardano mai lo spartito, e poi quando il maestro vuole lavorare sul brano con lo spartito, non lo riescono a seguire. È un grosso problema, e un grosso sintomo. Per cui il processo di alternanza tra memoria e lettura va tenuto sempre vivo.
Ora, per quanto riguarda la parte uditiva e la parte concettuale. Mentre si ascolta ciò che si suona, è utile, anche per fini interpretativi, cercare di dare un significato, e un carattere, a ciò che si sta suonando. Se le note delle frasi non diventano una sequenza logica mentale di idee, potrebbero restare incoerenti. Per esempio, memorizzare una frase in una lingua che non si conosce, è molto più impegnativo rispetto a memorizzare una frase in una lingua che si parla. Inoltre, per capire il contesto emozionale di un brano, bisogna capire come ogni singola nota si relaziona alle altre, e come ogni frase si relaziona alle altre. Per esempio, è difficile ricordare una frase che non ha senso, anche se è scritta in una lingua che si sa parlare. Quindi, mentre si memorizza, è necessario un ascolto attivo e concentrato. Questo concetto è particolarmente importante nel caso di brani di musica contemporanea: se non si dà un senso, è molto difficile memorizzare.
Può essere interessante notare che spesso i vuoti di memoria capitano nelle transizioni. Una transizione, in musica, così come nella vita (sigh), può essere la sezione più drammatica e importante. È il momento emozionale che causa il cambiamento e lo sviluppo delle idee in una maniera logica. Quando una nota, o una frase, è considerata meno importante, potrebbe essere dimenticata più facilmente. Per cui, mentre si memorizza, bisogna penetrare nella logica del brano, e bisogna capire ogni sezione sia a livello intellettuale che emozionale, e non ci sono note meno importanti nelle frasi (e ciò è vero anche a livello tecnico).
E veniamo infine all’ultima componente della memorizzazione, la parte tecnica. Ci sono alcuni problemi di memoria che non hanno nulla a che vedere con ciò che riguarda le prime 4 componenti. Anche facendo tutto perfettamente fino a questo punto, si potrebbero comunque avere vuoti di memoria. Ci sono artisti che memorizzano in maniera così facile e naturale, che fanno tutto ciò che ho descritto sopra in maniera intuitiva e veloce al punto che non ne sono neanche consapevoli. È esattamente la stessa cosa che avviene per artisti con una tecnica naturale perfetta, fanno tutti i movimenti giusti senza neanche rendersene conto. Ma anche loro hanno avuto vuoti di memoria, talvolta. Spesso, un vuoto di memoria è un fallimento tecnico che ha distrutto la memoria, questo è ciò che succede. Un passaggio che uno studente a casa ricordava bene, e a lezione – o nel peggiore dei casi a un concerto – viene dimenticato, è spesso un passaggio che è stato imparato con movimenti incoordinati. A casa, si potrebbe riuscire a memorizzare anche con movimenti scorretti, ma sotto stress, si aggiunge della tensione ad altra tensione già presente, così trabocca, e il passaggio fallisce. La tensione, è sempre d’intralcio nella fluidità delle note, che vanno una dopo l’altra, e quando c’è un disturbo in tale continuità, avvengono i vuoti di memoria. Ma questo dopotutto, non è un vero vuoto di memoria, si tratta perlopiù di un fallimento tecnico, anche se è probabilmente il motivo principale per cui avvengono vuoti di memoria.
Se si ha un vuoto di memoria è sempre utile chiedersi perché si ha avuto un vuoto lì invece che in un altro punto. Spesso c’è un motivo, legato alla mancanza di una delle componenti della memorizzazione, o al sopravvento di una rispetto alle altre.
Ci sono delle pratiche che sono distruttive per la memoria, e qui alcuni di voi non si troveranno d’accordo, ma è così: l’indipendenza delle mani, e il memorizzare un brano lontano dal pianoforte.
Dovrebbe essere chiaro a questo punto perché il secondo è un problema: vengono meno la parte cinetica e la parte tecnica della memorizzazione. Il cervello è troppo in avanti rispetto alle dita, ed è un problema anche questo. Quindi, il lavoro mentale, e il lavoro cinetico, non devono mai essere separati al pianoforte. Questo non vuol dire che non sia utile pensare o canticchiare un brano lontani dal pianoforte, naturalmente, in quanto ciò rafforza la parte uditiva e la parte concettuale, ma ciò si deve limitare ad essere solo un ausilio. Sì, ci sono casi di pianisti che imparavano brani sul treno... Ma sono grandi eccezioni, di certo non la normalità. Non è una buona idea affidarsi a tali esempi.
Per quanto riguarda invece l’indipendenza delle mani, ebbene... Vi prego di leggere con attenzione questo paragrafo, perché è facile interpretarlo male.
Suonare a mani separate, come modo di imparare un brano, o per necessità di risolvere problemi tecnici, può essere un’altra causa di vuoti di memoria. La memorizzazione e l’apprendimento di un brano deve avvenire con le mani totalmente interdipendenti, perché così facendo, una mano richiama l’altra. Mi spiego meglio, siccome quello che sto spiegando è piuttosto controverso. Vi è mai capitato di dimenticare ciò che fa una delle due mani, interrompendo quindi la memoria? Oppure, una delle mani suona in automatico, mentre l’altra ha tutta l’attenzione conscia? E spesso si tratta della mano sinistra? Questo avviene perché, evidentemente, la mente è concentrata maggiormente sull’altra mano, che spesso si tratta della destra, in quanto più frequentemente ha la melodia principale, e quindi la mano che ha meno concentrazione suona per memoria cinetica. E se avete letto con attenzione quello che ho scritto fin ora, dovrebbe essere chiaro il motivo per cui è un problema. Quindi, in questo caso, vuol dire che la mano non è realmente collegata all’altra mano, non sono interdipendenti le mani. Questo può avvenire anche studiando a mani unite, se non si pone attenzione ad entrambe le mani, quindi non sto dicendo che studiare a mani unite sia la soluzione a tutti i problemi, ma è comunque più facile che questo capiti dopo lo studio a mani separate, per quanto possa sembrare paradossale. Tuttavia, chiaramente, esiste la situazione in cui è necessario isolare lo studio di una mano per risolvere problemi tecnici. La soluzione a questo problema, sta nel risolvere il problema tecnico necessario a mani separate, ma, una volta risolto, bisogna ritornare al processo di memorizzazione sopra descritto, a mani unite, in modo che non siano mai indipendenti. In ogni caso, se siete convinti dell’importanza del praticare sempre prima a mani separate, e non avete in genere problemi di memoria, direi che non è un problema, anche perché quello che è veramente importante è che, quando le mani sono assieme, sono interdipendenti. Il problema nasce se le mani restano indipendenti dopo averle messe assieme, perché il cervello farà grande fatica a concentrarsi su entrambe. Il cervello non è in grado di fare due cose contemporaneamente, è solo in grado di passare da una cosa all’altra rapidamente, anche per questo è essenziale che le mani siano sempre interdipendenti. Vi assicuro che se riuscite a suonare un brano con due mani, mentre usate i pedali, mentre respirate, e così via, è solo grazie al fatto che il cervello sta lavorando di interdipendenza in maniera automatica. Se dopo avere letto questo paragrafo non siete per niente d’accordo, è probabilmente perché non l’avete capito (anche perché c’è il concetto di interdipendenza dietro che non mi posso mettere a spiegare troppo in dettaglio, potrei farlo, ma non voglio andare fuori dall’argomento principale, che è la memorizzazione).
L’ultimo problema che tratterò brevissimamente: l’ansia da palcoscenico. È un problema, indubbiamente, in quanto, come ho spiegato sopra, aumenta la tensione, e può generare vuoti di memoria. Quello che mi sento di consigliare per questo problema, è la desensibilizzazione sistematica: è una terapia impiegata in psicologia, quando c’è uno stimolo che provoca ansia, o paura. In cosa consiste? Nella presentazione ripetuta dello stimolo al soggetto, alternata al rilassamento. In parole semplici: più vi esibite, meno ansia avrete. In particolare, un brano nuovo è un nuovo stimolo, per cui, se si ha ansia da palcoscenico, è più probabile che vada qualcosa storto in quel brano a un concerto, è assolutamente normale, e bisogna esserne consapevoli. Quello che potete fare voi a casa per lavorare attivamente al problema, è registrare qualche vostra esecuzione e riascoltarla (è importantissimo riascoltarsi, anche se l’esecuzione fa schifo, altrimenti non ha senso!), oppure, farvi ascoltare da amici/parenti.
Per quanto riguarda altre pratiche, come la meditazione, o il suonare a occhi chiusi e così via, sì, possono essere utili, ma non entro nel merito, anche perché non sono realmente necessarie, e hanno benefici che vanno al di là della memorizzazione.
Spero di avere trattato in maniera sufficientemente completa ma non troppo, troppo pesante questo problema. Complimenti se avete letto tutto, hahaha.